Accompagnati
da Margaret, la gentile infermiera di Dream, partiamo in Toyota per i dintorni
di Matiri, in visita ad alcune famiglie con dei problemi. Senza un potente
fuoristrada qui in Africa non ci si potrebbe muovere, non si potrebbe attuare
l’assistenza alle famiglie con sieropositivi, sparse in un vasto territorio.
Strade in terra battuta, con alcuni tratti di un dissesto al limite, si
diramano da quella principale asfaltata nelle varie direzioni delle zone da
visitare. Non posso tacere sull’uso di
questo mezzo da parte di alcune signore italiane per andare dal parrucchiere.
Ma ognuno fa quello che può. Ci dirigiamo, dunque, verso le nostre mete,
sapendo che trascorreremo una giornata faticosa. Lasciata la macchina in uno
spiazzo, facciamo a piedi un po’ di strada per giungere al gruppo di capanne
dove abita con i genitori una giovane donna con il suo bambino. La storia è
quella che qui si ripete spesso: lei HIV+ in trattamento tiene nascosta al
marito questa condizione e nasce un bimbo positivo. Lui si arrabbia e se ne va.
Non solo, scopre anche lui di essere positivo. L’opera nostra, ma in
particolare di sister Alice (qui si parla swahili, manco inglese!), è quella di
parlare a lungo con la donna per convincerla, intanto, a continuare la terapia
anche per il figlio, rimarcando che non si tratta di malattia, bensì di una
condizione che se curata impedisce la malattia. Ci prendiamo l’impegno di
andare a casa del marito e ci avviamo. Altro tratto a piedi dopo chilometri di
strada mista. All’ombra di un albero (è mezzogiorno o più e il sole “coce”), ci
sediamo con l’interessato per un nuovo lungo intervento dell’instancabile e
lucida sister. Ci muoviamo con la promessa di una riconciliazione, lui in fondo
dice di voler bene alla moglie e al figlio. Vedremo. L’equipe di Dream
vigilerà. Piccolo break in macchina con acqua e qualche biscottino, mentre ci
avviamo verso il prossimo nucleo di capanne. C’è un bimbo di 5 anni, positivo,
che ha un’emiparesi agli arti di sinistra (complicanza cerebrale?). Il problema
à che la madre, che nel frattempo si è messa con un altro uomo, da cui ha figli
sani, lo trascura, perfino nella terapia. L’azione tenace della sister temo che
non sortisca risultati. La donna ascolta, ma non appare convinta. La proposta di Dream è di prendere il bimbo
nel nostro villaggio. Vedremo se è possibile. Intraprendiamo, ora, un lungo e difficile
tragitto verso la casa della nonna di Agnes, l’ultima bimba arrivata nel nostro
villaggio. Non la troviamo in casa, ma andando via la incontriamo per strada
con taniche d’acqua. La sister si dedica a raccogliere la storia della bimba,
che ci serve per il nostro archivio. Parlano tanto, sempre nella loro lingua,
io ascolto, giro, scatto foto, tanto poi la sister mi riferisce. Alla fine la
nonna ci porge alcune uova da portare ad Agnes, poi si mette in macchina con
noi fino a uno spaccio (bar? Neanche a parlarne!), dove la sua squisita
gentilezza si esprime con l’acquisto per noi di quattro coca-cola. Riprendiamo
la strada del ritorno. Dal finestrino rivedo gli splendidi grandiosi baobab già
fotografati all’andata, arriviamo all’ultima sosta che è quasi buio. C’è da
vedere un bimbo di pochi mesi con la malnutrizione. Ha gli occhi spalancati
come nell’ipertiroidismo e piange disperatamente, impedendo il dialogo della
sister con la mamma. Prendo in braccio il neonato e mi occupo di rasserenarlo,
con parziale risultato. Rientriamo stanchi, è stata una giornata intensa di
impegno e, per quanto mi riguarda, di emozioni. Ho manifestato la mia
gratitudine a Margaret per avermi consentito di vivere per un giorno quello che
loro fanno regolarmente, entrando nell’intimità della vita di queste persone
che hanno avuto la sventura di cadere sotto le grinfie di un insidioso virus
maligno.
Matiri
– Tharaka 24/08/2012 Nicola Samà
nicsam50@libero.it
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