La
strada che porta a Matiri in parte è asfaltata, in parte è sterrata e
polverosa. Man mano che procediamo il paesaggio diventa sempre più arido,
mancano visibilmente coltivazioni, si vedono mucche e capre scheletriche alla vana
ricerca di erba. E, naturalmente, il caldo. Ma il territorio è tutt’altro che
disabitato. Capanne più primitive sono sparse qua e là, bambini ovunque, anche
con gli animali al pascolo, gente per strada, a respirare la nostra polvere. In
questa zona, che appare quasi pre-desertica, anni fa è stato impiantato da
italiani l’ospedale S. Orsola, successivamente preso in carico dalla Comunità
di S. Egidio – Dream. Il viaggio e soggiorno di tre giorni con Sister Alice era
stato concordato precedentemente, al fine di prendere visione di come questi
Operatori attuano il programma di prevenzione e cura dei soggetti HIV+ . Non so
come un italiano immagina un ospedale qui in Africa, anche con un nome così
illustre se si pensa a Bologna. Non è un palazzone, qui le abitazioni sono solo
al piano terra, diverse costruzioni sparse in un territorio alberato, che,
volendo, potrebbe essere un bel giardino. L’accoglienza è cordiale. La gentile
infermiera, che già conosciamo, mi accompagna alla mia residenza, attraversando
questo boschetto. Ci appare una costruzione a semicerchio con delle stanzette
in fila. Sulla porta centrale una scritta: “La casa del tamarindo” e, in
effetti, proprio lì davanti si erge un grande e rigoglioso albero. Da qui sto
scrivendo. Subito nel dispensario (io lo chiamo così) l’infermiera ci
accompagna per una visita complessiva degli ambienti. Così vediamo le stanze della
visita medica, della farmacia e quelle del laboratorio, ben attrezzato. In
tutte le stanze computers collegati in rete. Su questi ci viene illustrato il programma
“Dream” prima dall’infermiera, poi dai medici. Tenete conto che io di inglese so
come voi di turco, ma con l’aiuto di Alice ho potuto costatare la validità e la
straordinaria completezza del programma. Ci sono tutti i dati dei pazienti, la
sua situazione familiare, gli esami periodicamente eseguiti, i sintomi presenti
alla visita e ai controlli, le complicanze, le medicine consegnate per la
terapia mensile. Se vi viene in mente una domanda, questo programma ha la
risposta pronta. In questo modo tutti i pazienti (e la sua famiglia) sono
sempre sotto controllo. Nessuna carta in giro, tranne una piccola scheda per il
paziente, che riporta i farmaci e le date degli appuntamenti. Se qualcuno non
si presenta al controllo programmato, viene contattato, se possibile, e dopo
tre giorni gli operatori si recano a casa sua. Dal colloquio con questi Operatori si evince
che c’è un lavoro meticoloso, ma, soprattutto, che credono in esso. E’ un
lavoro paziente, che richiede la convinzione e la collaborazione di tanti. Gli
occidentali possono offrire le attrezzature e contributi finanziari, magari
anche una supervisione, l’opera è giusto che sia gestita dai locali, ben
istruiti ad hoc. Insomma, si fa di tutto
per convincere i sieropositivi a non nascondere né a sé né ai familiari e,
possibilmente, a nessuno la loro condizione. Ciò è, forse, l’unica garanzia di
poter debellare questo flagello virale. All’ombra del tamarindo dico, quindi:
pensaci, positivo!
Matiri
23/08/2012 Nicola
Samà nicsam50@libero.it
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