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venerdì 24 agosto 2012

Pensare positivo, ovvero, la casa del tamarindo.



La strada che porta a Matiri in parte è asfaltata, in parte è sterrata e polverosa. Man mano che procediamo il paesaggio diventa sempre più arido, mancano visibilmente coltivazioni, si vedono mucche e capre scheletriche alla vana ricerca di erba. E, naturalmente, il caldo. Ma il territorio è tutt’altro che disabitato. Capanne più primitive sono sparse qua e là, bambini ovunque, anche con gli animali al pascolo, gente per strada, a respirare la nostra polvere. In questa zona, che appare quasi pre-desertica, anni fa è stato impiantato da italiani l’ospedale S. Orsola, successivamente preso in carico dalla Comunità di S. Egidio – Dream. Il viaggio e soggiorno di tre giorni con Sister Alice era stato concordato precedentemente, al fine di prendere visione di come questi Operatori attuano il programma di prevenzione e cura dei soggetti HIV+ . Non so come un italiano immagina un ospedale qui in Africa, anche con un nome così illustre se si pensa a Bologna. Non è un palazzone, qui le abitazioni sono solo al piano terra, diverse costruzioni sparse in un territorio alberato, che, volendo, potrebbe essere un bel giardino. L’accoglienza è cordiale. La gentile infermiera, che già conosciamo, mi accompagna alla mia residenza, attraversando questo boschetto. Ci appare una costruzione a semicerchio con delle stanzette in fila. Sulla porta centrale una scritta: “La casa del tamarindo” e, in effetti, proprio lì davanti si erge un grande e rigoglioso albero. Da qui sto scrivendo. Subito nel dispensario (io lo chiamo così) l’infermiera ci accompagna per una visita complessiva degli ambienti. Così vediamo le stanze della visita medica, della farmacia e quelle del laboratorio, ben attrezzato. In tutte le stanze computers collegati in rete. Su questi ci viene illustrato il programma “Dream” prima dall’infermiera, poi dai medici. Tenete conto che io di inglese so come voi di turco, ma con l’aiuto di Alice ho potuto costatare la validità e la straordinaria completezza del programma. Ci sono tutti i dati dei pazienti, la sua situazione familiare, gli esami periodicamente eseguiti, i sintomi presenti alla visita e ai controlli, le complicanze, le medicine consegnate per la terapia mensile. Se vi viene in mente una domanda, questo programma ha la risposta pronta. In questo modo tutti i pazienti (e la sua famiglia) sono sempre sotto controllo. Nessuna carta in giro, tranne una piccola scheda per il paziente, che riporta i farmaci e le date degli appuntamenti. Se qualcuno non si presenta al controllo programmato, viene contattato, se possibile, e dopo tre giorni gli operatori si recano a casa sua.  Dal colloquio con questi Operatori si evince che c’è un lavoro meticoloso, ma, soprattutto, che credono in esso. E’ un lavoro paziente, che richiede la convinzione e la collaborazione di tanti. Gli occidentali possono offrire le attrezzature e contributi finanziari, magari anche una supervisione, l’opera è giusto che sia gestita dai locali, ben istruiti ad hoc.  Insomma, si fa di tutto per convincere i sieropositivi a non nascondere né a sé né ai familiari e, possibilmente, a nessuno la loro condizione. Ciò è, forse, l’unica garanzia di poter debellare questo flagello virale. All’ombra del tamarindo dico, quindi: pensaci, positivo!




Matiri 23/08/2012         Nicola Samà         nicsam50@libero.it

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