A
queste suore di don Orione devo dare un nome: Alicja, Amabilis, Agnes, Makena,
Tabitha ed Ester (aspirante). Si
chiamano Piccole Suore Missionarie della Carità ma per vedere quanto sono
grandi bisogna andare, come noi in questi due giorni, insieme con loro per le
terre d’Africa. Sono infaticabili, perché sono spinte da un sentimento che
altrove è molto di moda sulla lingua ma poco nei fatti. L’amore qui è un
motore. Loro sanno dov’è la benzina e quando vanno per strada non restano mai
appiedati. La loro opera è visibile solo
a chi ha occhi puri, la loro presenza non fa rumore ma spiana cumuli
d’ingiustizia e rende più vivibile una vita destinata alla precarietà. Non
hanno, come noi dell’Aina, ragazzi in custodia nel loro edificio, pur
accogliendone ogni giorno molti all’ora del pasto. Vanno in giro presso le
famiglie, ne percepiscono i problemi e aiutano a risolverli. Ci sono ragazzi in
età scolare che non hanno i soldi per frequentare e loro sostengono le famiglie con le adozioni a distanza (Progetto “Wirigiro”,
email: adopcja.laare@gmail.com, €120,00 l’anno, oggi ne ho sottoscritto una,
Gladys, 12 anni). Bambini sieropositivi non attuano più la terapia e loro
vanno a verificare e ripristinare il trattamento. Una donna (etilista) fa figli
probabilmente con più uomini e loro provvedono almeno a far eseguire il test
HIV al neonato. Una bimba di tre anni stenta a camminare e loro la fanno
visitare in un centro di salute. Riescono ad avvicinare alcuni ragazzi di
strada e propongono loro degli abiti decenti, un letto e un pasto in cambio di
piccoli lavori. Siamo andati anche a visitare un centro d’accoglienza di
persone con handicap dalla nascita, il Cottolengo, che ha legami chiaramente
italiani. Lì abbiamo incontrato un’altra suora, Adriana, che sta dedicando la
sua vita a persone di ogni età, irrecuperabili. Ometto di descrivere i
particolari, immaginabili, dell’ambiente, peraltro accogliente. E’ questo che
abbiamo visto ieri e oggi, è questo che le piccole Suore della Carità fanno
ogni giorno: andare in famiglia, a piedi o in macchina per strade impossibili,
passando in mezzo a estese coltivazioni di miraa (le foglie dall’effetto
eccitante ed euforico si masticano in compagnia). Gratitudine è la parola che
alla nostra partenza lasciamo qui, per quello che fanno e per quello che ci
hanno consentito di vedere e testimoniare, in questa terra che tinge di rosso
ogni cosa.
Cottolengo
Laare 12/09/2012 Nicola Samà nicsam50@libero.it
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