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mercoledì 12 settembre 2012

L'Africa da vicino



A queste suore di don Orione devo dare un nome: Alicja, Amabilis, Agnes, Makena, Tabitha ed Ester (aspirante).  Si chiamano Piccole Suore Missionarie della Carità ma per vedere quanto sono grandi bisogna andare, come noi in questi due giorni, insieme con loro per le terre d’Africa. Sono infaticabili, perché sono spinte da un sentimento che altrove è molto di moda sulla lingua ma poco nei fatti. L’amore qui è un motore. Loro sanno dov’è la benzina e quando vanno per strada non restano mai appiedati.  La loro opera è visibile solo a chi ha occhi puri, la loro presenza non fa rumore ma spiana cumuli d’ingiustizia e rende più vivibile una vita destinata alla precarietà. Non hanno, come noi dell’Aina, ragazzi in custodia nel loro edificio, pur accogliendone ogni giorno molti all’ora del pasto. Vanno in giro presso le famiglie, ne percepiscono i problemi e aiutano a risolverli. Ci sono ragazzi in età scolare che non hanno i soldi per frequentare e loro sostengono le famiglie con le adozioni a distanza (Progetto “Wirigiro”, email: adopcja.laare@gmail.com, €120,00 l’anno, oggi ne ho sottoscritto una, Gladys, 12 anni). Bambini sieropositivi non attuano più la terapia e loro vanno a verificare e ripristinare il trattamento. Una donna (etilista) fa figli probabilmente con più uomini e loro provvedono almeno a far eseguire il test HIV al neonato. Una bimba di tre anni stenta a camminare e loro la fanno visitare in un centro di salute. Riescono ad avvicinare alcuni ragazzi di strada e propongono loro degli abiti decenti, un letto e un pasto in cambio di piccoli lavori. Siamo andati anche a visitare un centro d’accoglienza di persone con handicap dalla nascita, il Cottolengo, che ha legami chiaramente italiani. Lì abbiamo incontrato un’altra suora, Adriana, che sta dedicando la sua vita a persone di ogni età, irrecuperabili. Ometto di descrivere i particolari, immaginabili, dell’ambiente, peraltro accogliente. E’ questo che abbiamo visto ieri e oggi, è questo che le piccole Suore della Carità fanno ogni giorno: andare in famiglia, a piedi o in macchina per strade impossibili, passando in mezzo a estese coltivazioni di miraa (le foglie dall’effetto eccitante ed euforico si masticano in compagnia). Gratitudine è la parola che alla nostra partenza lasciamo qui, per quello che fanno e per quello che ci hanno consentito di vedere e testimoniare, in questa terra che tinge di rosso ogni cosa. 



                                                       Cottolengo


    Laare 12/09/2012         Nicola Samà         nicsam50@libero.it
                                                                     
           

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