Non so quando l’Africa ce la farà,
il dubbio è se ne ha la voglia e la capacità. Sono nato nel 50 al Sud, una
terra che ancora oggi soffre gli effetti collaterali del progresso. Ricordo che
nel mio paese i bambini camminavano, per abitudine o per indigenza, scalzi.
Anch’io, per la verità, pur non essendo indigente, amavo talvolta imitare i
miei compagni. Non c’era tutto quell’asfalto che di lì a pochi anni ha invaso
il territorio, la campagna era a portata di mano e noi bambini passavamo il
nostro tempo libero a zonzo tra i campi a raccogliere more o a catturare api o
cicale o mosche cavalline, a prendere nidi di uccelli o a cacciare lucertole.
Il bum economico di quegli anni e l’avvento della televisione ben presto
eliminarono queste abitudini dell’infanzia vissuta in periferia. E in pochi
anni ci siamo ritrovati “cresciuti e moderni”. Evito di descrivere la
successiva rapida evoluzione della nostra società, per alcuni aspetti
degenerata nell’uso o abuso degli oggetti del progresso. Ora giro per l’Africa,
non c’è ancora l’invasione dell’asfalto e del cemento, vedo un’unica vasta area
di terra rossa su cui si svolge la vita di tutti quelli che non hanno la
fortuna di vivere nelle città, quasi già occidentalizzate. Per quanto anche lì
ci sono aree simili nelle periferie (Slam). Terra di contraddizione, quindi.
Vedo, anche nel piccolo villaggio vicino, persone che dimostrano con
naturalezza le più grandi differenze di “status” dal modo di vestire: un
sandalo vezzoso o una tutina in una bambina è segno di appartenenza a una
famiglia benestante, pur se cammina tra la polvere e le immondizie del luogo. A
scuola ho visto bambini scalzi e con vestiti strappati accanto ad altri
“normali”. Sulla strada sterrata che porta al nostro villaggio s’incontrano a
volte donne e uomini ben vestiti che abitano in capanne o, magari, in una
casetta in muratura, come altri che vestono di stracci. Talvolta andiamo al
“pub”, una bettola dove si beve birra e non solo, davanti a un televisore
piatto che strilla canzoni e pubblicità. Qualche giovane si avvicina eccitato
alla vista del “mzungu”(uomo bianco), cerca di istaurare un dialogo, ma è
palesemente ebbro. Siamo cortesi, ma evitiamo contatti. Qualcun altro, seduto a
un tavolo, beve da solo con lo sguardo assente. Esco e passeggio un po’ davanti
ai negozietti per curiosare e mi capita di vedere l’acquisto del latte: la
venditrice versa da un recipiente del latte in un bicchiere, a mo’ di misurino,
indi lo versa in un sacchettino di plastica e lo consegna. Più avanti, in un
salone di bellezza (hair salon) si fanno le treccine ai capelli. Ci sono in
giro ragazze ben curate e anche le contadinotte scalze. Si vedono alcuni uomini
in standby, pensano, dico io, mentre le donne lavorano nei campi o vendono al
mercato, oltre che accudire alla capanna e ai figli. Ma altrove abbiamo visto
uomini presso una cava a spaccare pietre. Vediamo passare anche auto di grossa
cilindrata e fuoristrada, che sorpassano carretti guidati da asinelli. Ma sono
in tanti quelli che vanno a piedi per lunghi tratti. Ai bambini sembra
riservato l’approvvigionamento dell’acqua con il trasporto, a mano, a spalla o
con qualche mezzo rudimentale, delle taniche. Quando faccio la spesa al
negozietto di fronte (10 uova, 1 Kg di pomodori, 10 banane, una busta di dolci
locali €2) le donne ridono quando vado nel retro e scelgo i pomodori. A
nessuno, neanche a quelli che sembrano indigenti, manca il cellulare. Ignoro
cosa hanno da comunicare. Questo è solo uno spaccato della vita qui in Africa,
che rappresenta in tanta parte la rassegnazione o l’indifferenza verso il
progresso. Ma so bene, e le ho incontrate, che ci sono persone del luogo che
hanno preso coscienza dei problemi africani e si dedicano, con la professione, con
lo studio universitario o con il volontariato, a dare un indirizzo o un aiuto
ai bisognosi, come i sieropositivi. E’
la mia sensazione superficiale, non posso dire di conoscere già gli africani;
c’è gente qui da 50 anni che dice di non conoscere ancora gli africani!
L’impressione è che, in generale, manchi la speranza o non sanno cosa sia.
Sanno che domani è ancora così.
Nchiru
13/08/2012 Nicola
Samà nicsam50@libero.it
Nessun commento:
Posta un commento