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venerdì 24 agosto 2012

Scalzi ma col cellulare in mano.



Non so quando l’Africa ce la farà, il dubbio è se ne ha la voglia e la capacità. Sono nato nel 50 al Sud, una terra che ancora oggi soffre gli effetti collaterali del progresso. Ricordo che nel mio paese i bambini camminavano, per abitudine o per indigenza, scalzi. Anch’io, per la verità, pur non essendo indigente, amavo talvolta imitare i miei compagni. Non c’era tutto quell’asfalto che di lì a pochi anni ha invaso il territorio, la campagna era a portata di mano e noi bambini passavamo il nostro tempo libero a zonzo tra i campi a raccogliere more o a catturare api o cicale o mosche cavalline, a prendere nidi di uccelli o a cacciare lucertole. Il bum economico di quegli anni e l’avvento della televisione ben presto eliminarono queste abitudini dell’infanzia vissuta in periferia. E in pochi anni ci siamo ritrovati “cresciuti e moderni”. Evito di descrivere la successiva rapida evoluzione della nostra società, per alcuni aspetti degenerata nell’uso o abuso degli oggetti del progresso. Ora giro per l’Africa, non c’è ancora l’invasione dell’asfalto e del cemento, vedo un’unica vasta area di terra rossa su cui si svolge la vita di tutti quelli che non hanno la fortuna di vivere nelle città, quasi già occidentalizzate. Per quanto anche lì ci sono aree simili nelle periferie (Slam). Terra di contraddizione, quindi. Vedo, anche nel piccolo villaggio vicino, persone che dimostrano con naturalezza le più grandi differenze di “status” dal modo di vestire: un sandalo vezzoso o una tutina in una bambina è segno di appartenenza a una famiglia benestante, pur se cammina tra la polvere e le immondizie del luogo. A scuola ho visto bambini scalzi e con vestiti strappati accanto ad altri “normali”. Sulla strada sterrata che porta al nostro villaggio s’incontrano a volte donne e uomini ben vestiti che abitano in capanne o, magari, in una casetta in muratura, come altri che vestono di stracci. Talvolta andiamo al “pub”, una bettola dove si beve birra e non solo, davanti a un televisore piatto che strilla canzoni e pubblicità. Qualche giovane si avvicina eccitato alla vista del “mzungu”(uomo bianco), cerca di istaurare un dialogo, ma è palesemente ebbro. Siamo cortesi, ma evitiamo contatti. Qualcun altro, seduto a un tavolo, beve da solo con lo sguardo assente. Esco e passeggio un po’ davanti ai negozietti per curiosare e mi capita di vedere l’acquisto del latte: la venditrice versa da un recipiente del latte in un bicchiere, a mo’ di misurino, indi lo versa in un sacchettino di plastica e lo consegna. Più avanti, in un salone di bellezza (hair salon) si fanno le treccine ai capelli. Ci sono in giro ragazze ben curate e anche le contadinotte scalze. Si vedono alcuni uomini in standby, pensano, dico io, mentre le donne lavorano nei campi o vendono al mercato, oltre che accudire alla capanna e ai figli. Ma altrove abbiamo visto uomini presso una cava a spaccare pietre. Vediamo passare anche auto di grossa cilindrata e fuoristrada, che sorpassano carretti guidati da asinelli. Ma sono in tanti quelli che vanno a piedi per lunghi tratti. Ai bambini sembra riservato l’approvvigionamento dell’acqua con il trasporto, a mano, a spalla o con qualche mezzo rudimentale, delle taniche. Quando faccio la spesa al negozietto di fronte (10 uova, 1 Kg di pomodori, 10 banane, una busta di dolci locali €2) le donne ridono quando vado nel retro e scelgo i pomodori. A nessuno, neanche a quelli che sembrano indigenti, manca il cellulare. Ignoro cosa hanno da comunicare. Questo è solo uno spaccato della vita qui in Africa, che rappresenta in tanta parte la rassegnazione o l’indifferenza verso il progresso. Ma so bene, e le ho incontrate, che ci sono persone del luogo che hanno preso coscienza dei problemi africani e si dedicano, con la professione, con lo studio universitario o con il volontariato, a dare un indirizzo o un aiuto ai bisognosi, come i sieropositivi.  E’ la mia sensazione superficiale, non posso dire di conoscere già gli africani; c’è gente qui da 50 anni che dice di non conoscere ancora gli africani! L’impressione è che, in generale, manchi la speranza o non sanno cosa sia. Sanno che domani è ancora così.


Nchiru 13/08/2012           Nicola Samà            nicsam50@libero.it

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