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lunedì 25 febbraio 2013

La messa del lunedì



La domenica mattina verso le dieci tutti i bambini, tranne i piccolissimi e gli eventuali malati, varcano il cancello e si avviano per la strada indossando gli “abiti della festa”. Essendo in maggioranza ragazze, si nota l’abbigliamento decisamente femminile, diverso da quello consueto che portano durante la settimana, a parte la divisa scolastica.  La passeggiata di circa un chilometro porta alla chiesa di S. Rita, dove padre Francis o, a volte, padre Benedict, celebra la messa della comunità parrocchiale. Alcune delle ragazze formano un gruppo corale e si dispongono intorno all’altare, accompagnando con la danza i canti. La messa domenicale è molto frequentata dal popolo di Nchiru e tutti partecipano con tipici canti e danze. Ci vado volentieri perché m’interessa partecipare agli eventi locali e mi piace farmi prendere per mano dai bambini durante il percorso. Però, devo confessare che la cerimonia, nonostante i canti gradevoli all’ascolto, è lunga e stancante, oltre che incomprensibile (tutta in swahili!), per cui a volte esco verso la metà e aspetto fuori. Qualche volta m’è capitato di tenere in braccio una bimba sonnolenta. Questa messa, dunque, è l’occasione in cui i nostri bambini manifestano la loro partecipazione alla vita della comunità di Nchiru. Dopo l’apertura della nostra scuola padre Francis ha preso un’interessante iniziativa e ha cominciato a venire a celebrare la messa davanti alle aule.  S’è inventata la messa del lunedì. E’ tutta un’altra cosa. Libro della Bibbia in mano, ognuno dei ragazzi partecipa leggendo secondo i suggerimenti del parroco.  E’ una messa ad hoc per questo popolo di studenti. Leggere ad alta voce in inglese passi della Bibbia, incluso il Vangelo, serve loro per la conoscenza del contenuto, ma è anche un modo per imparare la lingua. Pure la predica non è che un messaggio dedicato ai ragazzi. Comunque la pensino i lettori, leggere e conoscere la Bibbia, anche per un ragazzo, è un atto apprezzabile: la conoscenza non fa male a nessuno. Da noi in Italia non usa, mi pare. Ricordo, però, con particolare piacere, che da ragazzina mia figlia mi stupì chiedendomi una copia del Vangelo; chissà se ce l’ha ancora. I canti, come in chiesa, sono accompagnati dal suono della pianola parrocchiale. Padre Francis, in uno scambio di battute mentre andava via, ha suggerito l’acquisto di una pianola e l’incremento dell’educazione musicale, includendo canto e strumenti. A questo, per la verità, si era già pensato, in riferimento allo sviluppo delle attività para-scolastiche. Non so se tale attività sia prevista nei programmi scolastici, ma è sicuramente un suggerimento per i volontari.


Nchiru, lunedì 25/02/2013                  Nicola Samà                 nicsam50@libero.it

venerdì 22 febbraio 2013

L'asino keniota


Il vocabolario Treccani definisce l’asino e il bue animali “pazienti”. La parola deriva dal latino pati, che significa “soffrire, sopportare”. Sinonimi sono “tollerante, docile” e, per estensione, “accurato, diligente”; come sostantivo significa “malato, colui che soffre”, ma questa è un’altra storia. Gli asinelli in Kenya portano (sopportano) sulle loro spalle tutti questi significati. Per quello che mi viene in mente, l’unica cosa insopportabile e inspiegabile che ho visto finora in questo Paese sono i colpi di verga che questi animali subiscono costantemente e con violenza quando sono al traino di carretti, siano essi pieni o vuoti. Si vede benissimo che essi stanno facendo in pieno il loro dovere, eppure non fanno una piega quando subiscono i colpi sulla schiena. Verrebbe la voglia di scendere dalla macchina e prendere le difese del simpatico animale, ma è più probabile che prenderemmo pure noi la nostra dose di botte. Sono convinto che il mulo, pur avendo altrove lo stesso ruolo dell’asino, non ha lo stesso trattamento. Sarà per la sua parentela con il cavallo, animale più regale e rispettabile. La storia dell’asino non è attinente con la vita del villaggio dei bambini, ma è un modo per riprendere a scrivere qualcosa dell’esperienza che sto vivendo in Africa. Come in Italia, anche qui siamo in piena campagna elettorale per l’elezione del presidente e governatori vari, ci sono pure donne candidate, sembra con un meccanismo diverso dal nostro. Dicono che subito dopo le elezioni del 4 Marzo si prevedono dei sommovimenti e quindi ci dovremo preparare con scorte di viveri e tessere telefoniche. La notevole distanza dalla capitale non ci assicura l’esenzione dal rischio. In questo periodo, andando per le strade per sbrigare faccende, capita di incontrare camion strapieni di uomini, con magliette uniformi, che inneggiano a qualcuno. Probabilmente, nel post-elezioni, gli stessi mezzi serviranno a sostenere la “guerriglia”. Ma queste sono, forse, mie fantasie. Il mio ritorno al villaggio ha riscontrato alcune novità: l’apertura della scuola, che ha visto i bambini partecipare attivamente e festosamente al trasporto dei banchi nelle aule. Padre Francis è stato invitato per l’occasione a celebrare la messa davanti alla scuola, con l’aspersione dell’acqua benedetta in ogni aula e perfino nelle toilets. Del discorso d’inaugurazione, anzi d’apertura, non saprei riferirvi, ma si può immaginare. Insomma, un giorno di festa che ha coinvolto i bambini, gli insegnanti, le house-mothers, qualche esterno e i volontari presenti. Consiglio, al proposito, di rileggere il blog “Costruire una scuola (di vita)”. Un altro piacevole riscontro è stato vedere le fontanelle lungo la strada assolutamente integre. Mi sembra evidente che il coinvolgimento preventivo della comunità intorno è stato determinante. Infine, la reazione dei bambini alla morte di Munene. Scontata la partecipazione sofferta, mista a stupore, per il terzo evento luttuoso che ha colpito il loro ambiente. Le più grandi hanno manifestato preoccupazione per il proprio futuro, soprattutto in considerazione dell’aggravamento inatteso e rapido dello stato di salute di Munene. C’è stato e continua il supporto psicologico al riguardo, ma l’impegno di tutta la comunità dovrà mirare alla sorveglianza e al sostegno di ogni bisogno recondito, che può essere riposto nell’animo sensibile di queste ragazze. Un saluto finale a Moses (il bimbo salvato dalle acque) che, inizialmente con un po’ di tristezza dei compagni, ma in fondo con grande gioia di tutti, è rientrato in famiglia, visto che nel frattempo era diventato sieronegativo. Auguri!


Nchiru 22/02/2013               Nicola Samà               nicsam50@libero.it

domenica 10 febbraio 2013

Munene, un tesoro nascosto.


Aveva 17 anni, non viveva nel nostro villaggio, perché frequentava la scuola secondaria, però era uno dei nostri e nei periodi di vacanza veniva a stare con noi. L’avevo conosciuto nel Luglio scorso, quando si era assentato dalla scuola a causa del morbillo e si era rifugiato in isolamento in una camera della nursery. Ricordo che fui chiamato per visitarlo e controllarlo e mi accorsi che praticamente rifiutava il cibo, almeno quello che gli veniva somministrato dall’house-mother. Con il mio scarso inglese e l’ausilio di qualcuno gli proponemmo, come alternativa, yogurt, biscotti e frutta, che accettò volentieri. Questi semplici gesti d’interessamento servirono a creare un po’ di confidenza, per cui quando cominciò a uscire dalla malattia veniva a salutarmi, mostrando un’espressione di gratitudine e di gioia contenuta. Era un ragazzo visibilmente chiuso, riservato, forse timido o un po’ depresso. Leggeva e ascoltava musica. Si diceva in quei giorni che, per il suo carattere, aveva difficoltà a scuola a relazionarsi con i compagni. Si diceva che lo prendevano un po’ in giro perché appariva effeminato. In effetti, era un bel ragazzo, ma a quell’età tanti sono bei ragazzi. Doveva esserci qualche altro motivo. Un segreto? Sì, un segreto, tenuto ben nascosto. Venne fuori che, in effetti, qualcosa del suo comportamento era inusuale: portava indosso sempre una giacca ben stretta, nonostante il caldo. Non so come, la sua house-mother Jadline e l’infermiera sister Alice, che lo conosceva da anni, furono le prime a venire a conoscenza del suo segreto: aveva il seno come una donna. Incoraggiato, fece leggere in quei giorni alla nostra presidente alcuni suoi scritti, forse un diario, in cui manifestava la sua grande sensibilità e, di conseguenza, la sua sofferenza. Era evidente che si trascinava questo “incomodo” da qualche anno e nessuno, pare, lo sapesse, nemmeno i familiari (era anche orfano). In Settembre, all’arrivo del Dr. Luciano, decidemmo di visitare il ragazzo. L’evidenza e la consistenza della ginecomastia, determinata, purtroppo, come effetto collaterale, dalla terapia antiretrovirale, ci indusse a pensare di programmare un intervento chirurgico. Si sapeva che il ragazzo era da tempo seguito da un centro HIV (non dal nostro di Chogoria), ma non era sicuro che avesse seguito correttamente la terapia; comunque, a nessuno risultava che il ragazzo avesse questo problema, legato ai farmaci. Così, nell’attesa di organizzare l’intervento chirurgico, si pensò che conveniva, comunque, modificare la terapia. Passò un po’ di tempo, poi questa modifica fu praticata, ma fu deleteria per un probabile effetto collaterale ben più grave o chissà per che altro. Il ragazzo ebbe di lì a poco delle reazioni violente del suo corpo, dalla cute all’apparato gastroenterico e agli altri organi, che lo ridussero in fin di vita. Nell’imminenza del Natale, assistito costantemente dagli amici, lasciò rapidamente questa terra e tutti nello sconforto e nell’incredulità più grande. Le sue ultime parole erano di speranza… 

Nchiru 09/02/2013                  Nicola Samà                  nicsam50@libero.it