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lunedì 25 febbraio 2013
La messa del lunedì
venerdì 22 febbraio 2013
L'asino keniota
Il vocabolario Treccani definisce
l’asino e il bue animali “pazienti”. La parola deriva dal latino pati, che significa “soffrire,
sopportare”. Sinonimi sono “tollerante, docile” e, per estensione, “accurato,
diligente”; come sostantivo significa “malato, colui che soffre”, ma questa è
un’altra storia. Gli asinelli in Kenya portano (sopportano) sulle loro spalle
tutti questi significati. Per quello che mi viene in mente, l’unica cosa
insopportabile e inspiegabile che ho visto finora in questo Paese sono i colpi
di verga che questi animali subiscono costantemente e con violenza quando sono
al traino di carretti, siano essi pieni o vuoti. Si vede benissimo che essi
stanno facendo in pieno il loro dovere, eppure non fanno una piega quando subiscono
i colpi sulla schiena. Verrebbe la voglia di scendere dalla macchina e prendere
le difese del simpatico animale, ma è più probabile che prenderemmo pure noi la
nostra dose di botte. Sono convinto che il mulo, pur avendo altrove lo stesso
ruolo dell’asino, non ha lo stesso trattamento. Sarà per la sua parentela con
il cavallo, animale più regale e rispettabile. La storia dell’asino non è
attinente con la vita del villaggio dei bambini, ma è un modo per riprendere a
scrivere qualcosa dell’esperienza che sto vivendo in Africa. Come in Italia,
anche qui siamo in piena campagna elettorale per l’elezione del presidente e
governatori vari, ci sono pure donne candidate, sembra con un meccanismo
diverso dal nostro. Dicono che subito dopo le elezioni del 4 Marzo si prevedono
dei sommovimenti e quindi ci dovremo preparare con scorte di viveri e tessere
telefoniche. La notevole distanza dalla capitale non ci assicura l’esenzione
dal rischio. In questo periodo, andando per le strade per sbrigare faccende,
capita di incontrare camion strapieni di uomini, con magliette uniformi, che
inneggiano a qualcuno. Probabilmente, nel post-elezioni, gli stessi mezzi
serviranno a sostenere la “guerriglia”. Ma queste sono, forse, mie fantasie. Il
mio ritorno al villaggio ha riscontrato alcune novità: l’apertura della scuola,
che ha visto i bambini partecipare attivamente e festosamente al trasporto dei
banchi nelle aule. Padre Francis è stato invitato per l’occasione a celebrare
la messa davanti alla scuola, con l’aspersione dell’acqua benedetta in ogni
aula e perfino nelle toilets. Del discorso d’inaugurazione, anzi d’apertura, non
saprei riferirvi, ma si può immaginare. Insomma, un giorno di festa che ha coinvolto
i bambini, gli insegnanti, le house-mothers, qualche esterno e i volontari
presenti. Consiglio, al proposito, di rileggere il blog “Costruire una scuola
(di vita)”. Un altro piacevole riscontro è stato vedere le fontanelle lungo la
strada assolutamente integre. Mi sembra evidente che il coinvolgimento
preventivo della comunità intorno è stato determinante. Infine, la reazione dei
bambini alla morte di Munene. Scontata la partecipazione sofferta, mista a
stupore, per il terzo evento luttuoso che ha colpito il loro ambiente. Le più
grandi hanno manifestato preoccupazione per il proprio futuro, soprattutto in
considerazione dell’aggravamento inatteso e rapido dello stato di salute di
Munene. C’è stato e continua il supporto psicologico al riguardo, ma l’impegno
di tutta la comunità dovrà mirare alla sorveglianza e al sostegno di ogni
bisogno recondito, che può essere riposto nell’animo sensibile di queste
ragazze. Un saluto finale a Moses (il bimbo salvato dalle acque) che,
inizialmente con un po’ di tristezza dei compagni, ma in fondo con grande gioia
di tutti, è rientrato in famiglia, visto che nel frattempo era diventato
sieronegativo. Auguri!
Nchiru 22/02/2013 Nicola Samà
nicsam50@libero.it
domenica 10 febbraio 2013
Munene, un tesoro nascosto.
Aveva 17 anni, non viveva nel
nostro villaggio, perché frequentava la scuola secondaria, però era uno dei
nostri e nei periodi di vacanza veniva a stare con noi. L’avevo conosciuto nel
Luglio scorso, quando si era assentato dalla scuola a causa del morbillo e si
era rifugiato in isolamento in una camera della nursery. Ricordo che fui
chiamato per visitarlo e controllarlo e mi accorsi che praticamente rifiutava
il cibo, almeno quello che gli veniva somministrato dall’house-mother. Con il
mio scarso inglese e l’ausilio di qualcuno gli proponemmo, come alternativa,
yogurt, biscotti e frutta, che accettò volentieri. Questi semplici gesti
d’interessamento servirono a creare un po’ di confidenza, per cui quando
cominciò a uscire dalla malattia veniva a salutarmi, mostrando un’espressione
di gratitudine e di gioia contenuta. Era un ragazzo visibilmente chiuso,
riservato, forse timido o un po’ depresso. Leggeva e ascoltava musica. Si
diceva in quei giorni che, per il suo carattere, aveva difficoltà a scuola a
relazionarsi con i compagni. Si diceva che lo prendevano un po’ in giro perché
appariva effeminato. In effetti, era un bel ragazzo, ma a quell’età tanti sono
bei ragazzi. Doveva esserci qualche altro motivo. Un segreto? Sì, un segreto,
tenuto ben nascosto. Venne fuori che, in effetti, qualcosa del suo
comportamento era inusuale: portava indosso sempre una giacca ben stretta,
nonostante il caldo. Non so come, la sua house-mother Jadline e l’infermiera sister
Alice, che lo conosceva da anni, furono le prime a venire a conoscenza del suo
segreto: aveva il seno come una donna. Incoraggiato, fece leggere in quei
giorni alla nostra presidente alcuni suoi scritti, forse un diario, in cui
manifestava la sua grande sensibilità e, di conseguenza, la sua sofferenza. Era
evidente che si trascinava questo “incomodo” da qualche anno e nessuno, pare,
lo sapesse, nemmeno i familiari (era anche orfano). In Settembre, all’arrivo del
Dr. Luciano, decidemmo di visitare il ragazzo. L’evidenza e la consistenza
della ginecomastia, determinata, purtroppo, come effetto collaterale, dalla
terapia antiretrovirale, ci indusse a pensare di programmare un intervento
chirurgico. Si sapeva che il ragazzo era da tempo seguito da un centro HIV (non
dal nostro di Chogoria), ma non era sicuro che avesse seguito correttamente la
terapia; comunque, a nessuno risultava che il ragazzo avesse questo problema,
legato ai farmaci. Così, nell’attesa di organizzare l’intervento chirurgico, si
pensò che conveniva, comunque, modificare la terapia. Passò un po’ di tempo,
poi questa modifica fu praticata, ma fu deleteria per un probabile effetto
collaterale ben più grave o chissà per che altro. Il ragazzo ebbe di lì a poco
delle reazioni violente del suo corpo, dalla cute all’apparato gastroenterico e
agli altri organi, che lo ridussero in fin di vita. Nell’imminenza del Natale,
assistito costantemente dagli amici, lasciò rapidamente questa terra e tutti
nello sconforto e nell’incredulità più grande. Le sue ultime parole erano di
speranza…
Nchiru 09/02/2013 Nicola Samà nicsam50@libero.it
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