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martedì 4 settembre 2012

Intervista (allegata)



Spero che non vi dispiaccia se vi allego una presentazione e un'intervista del regista Carlo Mazzacurati, che nei giorni scorsi ha presentato, fuori concorso, alla Mostra cinematografica di Venezia un documentario molto interessante. Poiché anche noi abbiamo in cantiere un documentario sulla vita del nostro villaggio, spero che i lettori del blog possano essere stimolati dall'argomento.
N. Samà 

Carlo Mazzacurati, mal d'Africa

Il documentario del regista sui medici del Cuamm: in Mozambico fra adolescenti allo sbando. 

“La mia avventura in un altro mondo”


di Paolo Rumiz
«Ero teoricamente la persona meno adatta a lavorare sull’Africa. Non sono un avventuroso, non sono un viaggiatore. E non mi ero mai occupato di terre così lontane dal mio mondo. E invece l’Africa mi ha attraversato la strada come un treno, con la potenza di una chiamata. E non ho potuto sottrarmi». Carlo Mazzacurati racconta come è nato il suo “Medici con l’Africa”, che apparirà fuori concorso alla 69ma Mostra del cinema di Venezia e che costituisce, racconta il regista, «l’avventura più anomala» della sua vita.
Il film-documentario è dedicato all’epopea del Cuamm, organizzazione non governativa di matrice cattolica tra le più accreditate nel mondo, che in oltre sessant’anni ha spedito nel continente nero oltre 1300 fra medici e infermieri e ora si è imbarcata nella sfida di garantire il parto assistito gratuito in alcune aree-pilota intorno all’Equatore. «Non avevo mai sentito parlare di questo centro, nonostante avesse base a Padova, la mia città. Erano invisibili, operavano in modestia e silenzio. Ma quando li ho incontrati ho sentito un profumo antico e familiare, quello del mondo cattolico semplice, energico e campagnolo in cui sono cresciuto. La parrocchia un po’ come il Partito della Jugoslavia rurale raccontato da Kusturica in “Ti ricordi di Dolly Bell?”».
Venti giorni in Mozambico, in un’Africa senza elefanti o leoni, un immenso suburbio popolato di adolescenti allo sbando. Venti giorni di riprese fatte d’impulso, da pescatore con la rete a strascico, con due operatori di macchina e un fonico. Poi, al ritorno in Italia, settimane, mesi di riflessione sul materiale raccolto, in compagnia del montatore Paolo Cottignola, e lentamente ecco prendere forma l’idea di un film che raccontasse l’eroismo ma anche i dubbi, la forza e insieme le debolezze, il dolore e, all’opposto, persino lo humour di chi opera negli avamposti di queste terre estreme.
«Non so nemmeno io dire cosa sia questa mia cosa — ammette il regista — e non so come collocarla. Di certo l’ho vissuta come servizio, e per questo ho cercato il più possibile di nascondermi e di far parlare i protagonisti. Dei medici mi ha colpito soprattutto la ritrosia, la modestia, la loro umile ammissione di inadeguatezza rispetto alla vita dell’Occidente. E dell’Africa mozambicana, di questa periferia dolente e malinconica, ho portato comunque a casa la memoria di quella loro massa fisica e vitale, quasi sempre di adolescenti». L’erranza di ragazzi di strada, disponibili alla conversazione anche più elementare, pronti allo scambio spontaneo anche di piccole cose: da tutto questo, racconta Mazzacurati, è rimasto un legame forte, un attaccamento, un punto di contatto che ha reso unico quel viaggio.
Una delle caratteristiche dell’Africa è che lo choc del primo impatto è poca cosa rispetto allo choc del ritorno al nostro mondo delle complicazioni mentali, dei consumi e dello spreco. E anche Mazzacurati, un riflessivo di natura, ha dovuto arrendersi — davanti alla moviola delle immagini raccolte nel Sud del mondo — alla percezione dell’immenso superfluo in cui viviamo da occidentali. Un superfluo «non solo di cose ma anche di quei pensieri che ci fanno spesso inutilmente sofferenti e ripiegati sull’insensatezza dell’esistere».
Ma ecco il rischio che corre chi cerca di raccontare l’Africa di oggi: quello di percepire tanti e tali disastri da armarsi contro l’Occidente, di produrre un’opera di rifiuto o di rivolta. «Qui abbiamo cercato il contrario — prosegue Mazzacurati — abbiamo costruito un film basato sull’affetto, qualcosa che ci mostri dei testimoni, o dei profeti del tempo capaci di non farti sentire in colpa anche se ammetti di non essere come loro. Antieroi pieni di limiti, nei confronti dei quali è giusto far scattare il sentimento dell’empatia più che quello dell’ammirazione».
“Medici con l’Africa” dunque, un lavoro nato da una resa più che da una precisa volontà, dove tutti sono stati importanti, a partire dal capo storico del Cuamm, l’ultraottantenne don Luigi Mazzuccato, il grande “spedizioniere” delle anime di casa nostra verso le periferie del mondo. E poi Luca Bigazzi, direttore della fotografia, «senza il cui occhio il film non sarebbe stato lo stesso», Claudio Piersanti che ha steso il soggetto, ed Enrico Carrapatoso che ha composto le musiche. Per finire, dietro le quinte, Claudio Beltramello del Cuamm, che ha guidato la troupe sotto le stelle dell’Africa. 

(trovacinema.repubblica.it 29/08/2012)

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