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venerdì 22 marzo 2013

Incontri ravvicinati


Un tour di due giorni nella zona di Igoji per consegnare il contributo scolastico per alcuni bambini sostenuti dalla nostra Associazione, mediante le sponsorizzazioni. Sono dieci le scuole primarie da visitare, andando, come al solito qui, per strade impervie e dissestate. In compenso si attraversa una terra verde e rigogliosa, con coltivazioni di tè, banani, mango, caffè e altro, si avvistano paesaggi incantevoli e si arriva in zone abbastanza periferiche da suscitare sempre la curiosità degli abitanti del luogo. Io sono solo di compagnia, ma visti gli ambienti dove ci introduciamo, mi trasformo ovviamente in un testimone di questa realtà. Se uno pensa all’Africa come una terra di ignoranti, cioè di scarsa scolarizzazione, venga con noi a vedere quante scuole frequentate da centinaia di bambini e ragazzi sono dislocate in zone inimmaginabili. Si cammina per chilometri immersi in queste zone verdi, ogni tanto s’incontrano persone, baracche, nuclei abitati, che sono segno di vita lì, poi, quando uno non se lo aspetta, ecco una scuola con un ampio spiazzo dinanzi. In genere c’è anche una chiesa nelle vicinanze. Mentre Marek si avvia all’interno della scuola per incontrare un responsabile scolastico, io mi aggiro intorno in attesa dell’arrivo inevitabile dei bambini. Ormai sono abituato, ma è sempre sorprendente questo accerchiamento, soprattutto se vedono una macchina fotografica. Il primo impatto è fatto di sguardi catturati reciprocamente, in silenzio, come uso fare. Loro si mostrano attratti da me “mzungu” (bianco), evidentemente abbastanza raro qui, non meno di quanto io mi soffermo affascinato sui loro occhi. Vi si legge di tutto, tranne la sofferenza. Basta stringere la mano, far vedere una foto sul display, provare a scambiare qualche parola in inglese o kimeru e saltano di gioia con grida facendo a gara a chi più mi tocca. Da una timidezza iniziale, quando vedono che tendo le braccia i più audaci arrivano subito, altri stentano a lasciarsi convincere ma alla fine cedono e mi si stringono intorno, cercando la mia mano. Ne avrò strette decine e decine. Alcuni cominciano a sfiorarmi le braccia per via dei peli a loro ignoti, io lascio fare ed è un ammasso di carezze. Non sono per nulla aggressivi, si mostrano educati nonostante l’esuberanza del momento, nel senso che quando faccio capire che il gioco finisce si fanno da parte. Inoltre, dimostrano di temere gli insegnanti, perché in loro presenza si acquietano. Mi è capitato di entrare in un’aula con l’insegnante assente e i bambini mi hanno invitato a sedermi al suo posto e abbiamo in qualche modo dialogato. Tanti di loro erano scalzi. Sono stato più volte in giro per l’Africa e l’incontro con i bambini è sempre speciale. A me ricorda gli anni della mia infanzia, quando noi bambini eravamo attratti da qualche parente o conoscente emigrato, che veniva in vacanza nel paese con la macchinona americana. I sensi in quel momento diventano una forma di conoscenza, di condivisione. Toccare, toccarsi è interrompere con quel gesto semplice una distanza, è creare una continuità tra due persone, due razze, due vite, due diversità. Quando sono stato nel deserto, affondando i piedi nella finissima e morbida sabbia delle dune, coglievo la mia continuità con la terra, come un albero che affonda le radici nella madre terra per trarne la linfa vitale. Anche i nostri bambini al villaggio amano toccare ed essere toccati, accarezzati. Quando vado sulla strada verso Nchiru alcuni bambini e adulti che ormai mi riconoscono, ma anche altri non si tirano indietro quando porgo la mano, ci scambiamo un saluto o mi dicono “mzungu”. Mi chiedo sempre come mai non si crea questa continuità tra i nostri bambini e i loro coetanei che s’incontrano la domenica mentre vanno a messa alla chiesa di S. Rita. Mi sembrano due razze diverse, che si lanciano timidi sguardi curiosi e nulla più. L’esperienza di oggi, comunque, aggiunge un altro tassello all’esplorazione e alla conoscenza di questo Paese, regalandomi quella che io chiamo l’intimità dell’Africa. Cosa che è già capitata (e descritta) nei viaggi a Matiri e a Laare. La ciliegina di oggi è stata la visita a Moses, che, essendo diventato sieronegativo, era rientrato in famiglia. Non ha mostrato di riconoscerci, ma quando per scherzo è stato avviato verso la nostra macchina si è messo a piangere. Buon segno, ci siamo detti. E’ sempre un bel bambino e vive nella sua famiglia e nella sua terra. Il suo futuro sarà nelle sue mani.










Nchiru 22/03/2013               Nicola Samà               nicsam50@libero.it       

2 commenti:

Rossella ha detto...

Come sempre leggere dei racconti della tua Africa mi porta a vivere sensazioni da un punto di vista privilegiato, mi fa sentire presente, mi fa capire quella realtà che al momento non fa parte della mia vita. E' interessante il resoconto sensoriale che fai, quello della vita quotidiana e quello fotografico che altrimenti non saprei immaginare. Grazie amico mio!! Rossella

Monia ha detto...

...per un attimo ti ho visto mentre i bambini ti accarezzavano!!!!!
Monia