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venerdì 5 ottobre 2012

Un beffardo inchino


Parcheggiati davanti a una farmacia a Meru, si avvicina al finestrino un bambino a chiedere l’elemosina, parlando in inglese. Non gli do retta, qui in città sono prudente e, in genere, rifiuto questo modo di aiuto se non conosco il soggetto. Passa una signora conoscente con il figlioletto, scambiamo qualche parola. Il bimbo sempre lì. Torna Marek dalla farmacia, parla con lui in kimeru, va in un negozio di fronte e gli compra una confezione di pane in cassetta. Piombano all’improvviso due ragazzi più grandi e tentano di strappare il pane dalle mani del bambino. Pronto Marek riesce a prendere il pane, facendo entrare il bimbo in macchina. Uno dei due ragazzi, con accento di sfida, gli dice in kimeru: ”Questo pane lo mangeremo noi…”. Mentre Marek tenta di ripartire rapidamente con la macchina, il ragazzo infila il braccio dal finestrino, arraffa la confezione del pane e scappa. Lo vedo che si ferma sul marciapiede e, con in mano il pane, ci fa un inchino, con uno sfacciato sorriso, come di uno che fa una bravata. La situazione richiede solo la fuga, avendo identificato i due come ragazzi di strada, non dei più innocui. Il nostro piccolo ospite ci confida che se parliamo con uno dei capi, il ragazzo sarebbe sicuramente punito per il gesto sconsiderato. Ovviamente soprassediamo, Marek dà una moneta e lo saluta, raccomandandogli prudenza. Questa è l’occasione di affrontare il discorso su un fenomeno abbastanza diffuso, non solo in questo Paese. Non ho notizie dirette, pertanto ricorro a informazioni avute da Attilio, che, in più occasioni, li ha frequentati. I “ragazzi di strada” sono una categoria di persone che per motivi vari non vivono in famiglia e svolgono la loro vita, appunto, per strada. Età dai 10 ai 30 anni, in maggioranza maschi, alcuni orfani o appartenenti a famiglie disagiate o, comunque, scappati da casa, vivono di elemosina per mangiare e vestirsi, ma ricorrono ai furtarelli se necessario. Per questo preferiscono ambienti cittadini dove c’è un mercato. Talvolta qualcuno accetta anche un lavoretto occasionale. Ho già descritto come le suore di Laare riescono ad avvicinare alcuni ragazzi, proponendo piccoli lavori in cambio di un pasto, vestiti e un letto. Vivono in gruppi, a Meru ce ne sono due, i più grandi tra loro sono i capi e distribuiscono gli “averi” a tutti. Compresa la “colla”. Questa è la loro droga economica, una colla industriale, che inalano a tutto spiano continuamente e che li stordisce fino al rincoglionimento, se non all’aggressività. Attilio ha avuto modo di avvicinarli, ogni tanto va a trovarli, facendosi accompagnare da un amico del luogo, li porta in un locale e offre loro un pasto. Ne ha invitati anche cento in una volta. Se capita, accompagna qualcuno in ospedale per medicazioni o altri problemi. Una volta, in segno di gratitudine, gli hanno fatto un regalo. Preferisco considerare una bravata l’accaduto, però il gesto è pericoloso, perché potrebbe innescare violenza. Probabilmente, il pane è stato distribuito ai suoi compagni, diciamo che è stata una “sottrazione proletaria”. Giudicate voi.





 Collaborazione e foto di Attilio Ulisse

Nchiru 05/10/2012                Nicola Samà              nicsam50@libero.it

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