Parcheggiati davanti a una farmacia a Meru, si
avvicina al finestrino un bambino a chiedere l’elemosina, parlando in inglese.
Non gli do retta, qui in città sono prudente e, in genere, rifiuto questo modo di
aiuto se non conosco il soggetto. Passa una signora conoscente con il
figlioletto, scambiamo qualche parola. Il bimbo sempre lì. Torna Marek dalla
farmacia, parla con lui in kimeru, va in un negozio di fronte e gli compra una
confezione di pane in cassetta. Piombano all’improvviso due ragazzi più grandi
e tentano di strappare il pane dalle mani del bambino. Pronto Marek riesce a prendere
il pane, facendo entrare il bimbo in macchina. Uno dei due ragazzi, con accento
di sfida, gli dice in kimeru: ”Questo pane lo mangeremo noi…”. Mentre Marek
tenta di ripartire rapidamente con la macchina, il ragazzo infila il braccio
dal finestrino, arraffa la confezione del pane e scappa. Lo vedo che si ferma
sul marciapiede e, con in mano il pane, ci fa un inchino, con uno sfacciato
sorriso, come di uno che fa una bravata. La situazione richiede solo la fuga,
avendo identificato i due come ragazzi di strada, non dei più innocui. Il nostro
piccolo ospite ci confida che se parliamo con uno dei capi, il ragazzo sarebbe
sicuramente punito per il gesto sconsiderato. Ovviamente soprassediamo, Marek dà
una moneta e lo saluta, raccomandandogli prudenza. Questa è l’occasione di
affrontare il discorso su un fenomeno abbastanza diffuso, non solo in questo
Paese. Non ho notizie dirette, pertanto ricorro a informazioni avute da Attilio,
che, in più occasioni, li ha frequentati. I “ragazzi di strada” sono una
categoria di persone che per motivi vari non vivono in famiglia e svolgono la
loro vita, appunto, per strada. Età dai 10 ai 30 anni, in maggioranza maschi,
alcuni orfani o appartenenti a famiglie disagiate o, comunque, scappati da
casa, vivono di elemosina per mangiare e vestirsi, ma ricorrono ai furtarelli
se necessario. Per questo preferiscono ambienti cittadini dove c’è un mercato. Talvolta
qualcuno accetta anche un lavoretto occasionale. Ho già descritto come le suore
di Laare riescono ad avvicinare alcuni ragazzi, proponendo piccoli lavori in
cambio di un pasto, vestiti e un letto. Vivono in gruppi, a Meru ce ne sono
due, i più grandi tra loro sono i capi e distribuiscono gli “averi” a tutti.
Compresa la “colla”. Questa è la loro droga economica, una colla industriale,
che inalano a tutto spiano continuamente e che li stordisce fino al
rincoglionimento, se non all’aggressività. Attilio ha avuto modo di
avvicinarli, ogni tanto va a trovarli, facendosi accompagnare da un amico del
luogo, li porta in un locale e offre loro un pasto. Ne ha invitati anche cento
in una volta. Se capita, accompagna qualcuno in ospedale per medicazioni o
altri problemi. Una volta, in segno di gratitudine, gli hanno fatto un regalo. Preferisco
considerare una bravata l’accaduto, però il gesto è pericoloso, perché potrebbe
innescare violenza. Probabilmente, il pane è stato distribuito ai suoi
compagni, diciamo che è stata una “sottrazione proletaria”. Giudicate voi.
Collaborazione e foto di Attilio Ulisse
Nchiru 05/10/2012 Nicola Samà nicsam50@libero.it
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